E’ un momento drammatico, forse nemmeno nel peggiore dei
nostri incubi avremmo immaginato una realtà tanto crudele. Ci siamo scoperti
fragili, vulnerabili, soli anche dentro una città affollata. In questi giorni
surreali sono tanti i pensieri e ancor di più le paure. C’è però una cosa che
continua a darmi speranza: l’umanità straordinaria di alcune persone che, ogni
giorno, si mettono a disposizione dell’Altro. E quindi ci siamo scoperti anche
tanto generosi, coraggiosi, capaci di amare. Una lista infinita di nomi,
professionisti che al timore, antepongono il senso del dovere. Non starò qui ad
elencare le categorie professionali, ma ci sono storie che meritano di essere
raccontate, messaggi a cui abbiamo urgenza di dare voce. Perché? Semplicemente
perché sono la concreta dimostrazione del buono che c’è, del punto dal quale partire, ripartire tutti insieme.
Oggi vi racconto la storia di Francesca, Paola e Alessandra.
Sono donne che abitano a Roma ma potrebbero essere cittadine di qualsiasi altro
paesino sperduto di questa nostra bella Italia. In questi giorni difficili hanno deciso di mettersi a disposizione di chi ha più bisogno. Francesca è
membro attivo dell’Associazione “Testaccio in testa”, dal 2016 impegnata in
un’iniziativa di portierato sociale che offre servizi di prossimità nel rione.
Ora più che mai, anziani, disabili e anche donne sole con
bambini piccoli, non possono essere dimenticati. Così ogni mattina Francesca,
insieme ad altri concittadini dal cuore grande, va al supermercato a fare la
spesa per tutti, passa in farmacia a ritirare le medicine, in edicola a
comprare il giornale e poi consegna tutto a domicilio. “Nel quartiere c’è una
ragazza non vedente, un’altra incinta prossima al parto, tanti anziani, non
possiamo abbandonarli” – mi dice Francesca con una voce piena di gioia al
telefono. È la voce di chi si sente bene nel fare del bene.
“Ma cos’è che in un momento come questo ti spinge a pensare
al prossimo?” - le chiedo. La sua risposta
è al plurale, lei risponde per tutti quelli che non si tirano indietro.
“Per noi conta sentirsi parte di una comunità. Esserci e
mettersi a disposizione è ciò che ci fa stare bene. Quello che si è attivato in
questa grande emergenza deve restare, perché davvero il cambiamento parte da
noi cittadini, dal basso. Arriviamo lì dove non arrivano le istituzioni. Se un
domani dovessi essere io ad aver bisogno, mi piacerebbe pensare di poter
contare su qualcuno. Sapere di non essere sola”.
Paola invece vive al Torrino. La mattina lavora, il
pomeriggio porta avanti casa e figli e, quando può, cucina per gli anziani del
palazzo. “Pollo con le patate, lasagne, pasta e fagioli ma anche la pizza il
sabato sera e il pane appena sfornato” – mi racconta.
Anche lei, insieme ad Alessandra si offrono per la spesa a domicilio. Alcuni anziani soli, più che di un pasto caldo, hanno bisogno di rapporti umani. “Mi fermo sul pianerottolo, a distanza e
muniti di mascherina, facciamo quattro chiacchiere”. Il cibo diventa un
pretesto per dire all’altro “ci sono”. Si definisce “un animale da cortile”
Paola che fa della condivisione una filosofia di vita.
Insomma storie di gesti che fanno bene, un nuovo modo di
vivere il vicinato sostenuto anche dal “Premio Roma Best Practice Award - Mamma
Roma e i suoi Figli Migliori”. Un’iniziativa che, da quattro anni, riconosce e
mette in rete la parte buona, sana della città e che punta a rendere stabili le
iniziative sorte spontaneamente durante questo periodo di isolamento.
“Perché per ripartire Roma - dice Paolo Masini, Presidente
del Premio – avrà più bisogno che mai dei suoi Figli Migliori”.
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