Credo negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani





Un’influenza dicevano, poi le anomalie, i primi morti, ma la Cina sembrava così lontana. Poi il “primo” paziente a Codogno ed è subito caccia all’untore in Lombardia. Quel puntino rosso sulla mappa intanto è diventato ogni giorno più grosso. Troppi contagi, crescono i decessi, così non va; alle 18.00 puntualmente il bollettino è lancinante, il numero dei morti è degno di una vera e propria guerra. In trincea medici, infermieri, operatori e volontari, eroi silenziosi mandati a combattere al fronte con poche armi. Blackout. Italia zona rossa, Italia blindata, il panico. Assalto ai treni, ai supermercati, ma come puoi sfuggire e ripararti da un nemico invisibile che “cammina” proprio con le tue gambe? Ed è come se il tempo si fosse fermato, di colpo il Paese spegne i motori e tutto si azzera, tranne la storia, quella di un popolo fiero e caparbio, che nonostante l’immagine straziante delle migliaia di bare accatastate fuori da un cimitero al limite delle capacità di contenimento e trasportate via da una colonna di camion dell’esercito in triste processione, invoca la speranza innalzando il tricolore, cantando l’inno di Mameli dalle finestre e dai balconi colorati da centinaia e centinaia di striscioni. Mille arcobaleni, mille dialetti, mille suoni diversi incoraggiano gli abitanti delle zone più colpite. #AndràTuttoBene è lo slogan che abbraccia virtualmente un popolo in isolamento, ma per natura socievole, autoironico, avvezzo al contatto, ora stroncato nei gesti quotidiani più semplici e scontati: dalla pacca sulla spalla, alla stretta di mano, agli abbracci. Nonostante la quarantena e le misure restrittive però gli italiani non arretrano di un millimetro, non rinunciano alla solidarietà e alla condivisione che li contraddistingue. Le città sono apparentemente vuote, le strade e le piazze semideserte, ma testimoniare la vita dal terrazzo di casa sembra essere più forte della paura. La fine e l’inizio coincidono, ripartire da un “mondo meno malato” è l’idea che sovrasta anche le menti più chiuse, consapevoli di essere tutti sulla stessa barca. Un filo rosso invisibile ha iniziato ad attraversare vicoli e piazze per legare insieme tutti gli abitanti delle città e dei piccoli centri dell’intera penisola. Il legame non si vede ma si percepisce ed è indissolubile. Gli stranieri con i residenti, la politica con i cittadini, le associazioni con i commercianti. La scelta è quella di restare umani nonostante la pandemia presupponga il terrore e il distacco. E allora al via agli scatoloni ricolmi di pasta, pane, latte a lunga conservazione, biscotti, patate, beni alimentari di prima necessità destinati ai più bisognosi la cui condizione viene aggravata dalle misure restrittive anti-covid. Gli amministratori della provincia cosentina, ai piedi dell’altopiano silano, già prima del più recente dcpm, che stanzia 400 milioni per i comuni, hanno lanciato insieme alle associazioni di volontariato e alla Protezione Civile diverse iniziative di sostegno per le comunità e una raccolta alimentare che sin dal principio ha riscosso largo consenso. 
A Celico nel centro storico, tra i vicoli raggomitolati, qualcuno ha addirittura deciso di esibire un cesto con affisso un cartello: “Chi possiede deponga, chi non possiede prenda”




A Spezzano Sila sono state realizzate 600 mascherine in tessuto grazie al contributo di sarte e artigiani del posto (in questo caso per lo più donne al timone!) che si sono messi a disposizione per l’intera cittadinanza riconvertendo sulla scia dell’emergenza sanitaria i propri atelier e laboratori. C’è poi chi in autonomia è riuscito a creare per i propri concittadini in difficoltà mascherine chirurgiche dai camici Tnt in disuso. 




Il virus nonostante tutto ci sta regalando nuove possibilità: riscoprire il calore della famiglia e degli affetti più veri che nonostante la distanza restano presenze costanti, il senso del dialogo e della condivisione, il profumo del pane sfornato, la meraviglia e lo stupore racchiuso nelle piccole cose, la necessità di rallentare il passo veloce di una vita frenetica, programmata, asettica, calcolatrice con lo sguardo mai rivolto davvero all’altro. Percepiamo la paura di chi scappa dalle bombe, la solidarietà di popoli da sempre etichettati, l’importanza dell’unità, la fiducia nel domani solo “remando insieme”.

Da Celico (Cosenza) 

Gilda Pucci







Commenti